Capita spesso che un’azienda debba acquistare qualcosa da una persona fisica che non ha partita IVA: un computer usato, un arredo, un macchinario dismesso, un’automobile, ma anche piccole attrezzature o materiali. In questi casi non esiste fattura e nemmeno scontrino fiscale, perché il venditore non è un soggetto IVA. Per poter registrare correttamente l’operazione in contabilità e dimostrare che il pagamento è avvenuto, serve un documento scritto: la ricevuta rilasciata dal privato.
Questa ricevuta non è una fattura e non è uno scontrino, ma una quietanza, cioè una dichiarazione scritta con cui il privato attesta di avere ricevuto dall’azienda una certa somma di denaro a fronte della vendita di un determinato bene. Se compilata in modo chiaro, permette all’azienda di documentare l’acquisto, giustificare l’uscita di cassa o di banca e, se del caso, portare il costo in deduzione secondo le regole fiscali.
Per il privato, la ricevuta è importante perché gli consente di dimostrare la provenienza della somma incassata e, al tempo stesso, di descrivere che si è trattato di una vendita occasionale e non dell’esercizio abituale di un’attività.
Indice
- 1 Capire il contesto giuridico-fiscale
- 2 Quali dati servono prima di scrivere la ricevuta
- 3 Struttura della ricevuta: intestazione e dati delle parti
- 4 Descrizione dettagliata del bene venduto
- 5 Importo, modalità di pagamento e attestazione della quietanza
- 6 Aspetti fiscali particolari: marca da bollo e dichiarazioni del privato
- 7 Firma, copie e conservazione della ricevuta
- 8 Errori da evitare e buone prassi operative
Capire il contesto giuridico-fiscale
Quando un’azienda compra da un privato, si crea un rapporto giuridico di compravendita tra un soggetto “imprenditore” e una persona che non svolge attività d’impresa. Il privato, proprio perché non ha partita IVA, non emette fattura e non addebita IVA. L’azienda quindi non potrà detrarre alcuna IVA su quell’acquisto e registrerà il costo al lordo.
Dal punto di vista fiscale, per il privato, una singola vendita di un bene di sua proprietà, non effettuata in modo ripetitivo e non organizzata come attività, è di regola un’operazione occasionale, in molti casi irrilevante ai fini delle imposte dirette. Se però l’attività di vendita diventa abituale, le cose cambiano e non si è più davanti a un “privato” ma a chi di fatto svolge un’attività commerciale. In questi casi, parlare di ricevuta da privato diventa improprio e occorre inquadrare la situazione in modo diverso, cosa che va valutata con un professionista.
Per l’azienda, la ricevuta è il documento minimo necessario per poter registrare l’acquisto. In alcuni casi particolari, e a certe condizioni, potrebbe rendersi necessaria un’autofattura o una comunicazione speciale, ma si tratta di situazioni che vanno verificate con il commercialista. In ogni caso, l’errore da evitare è effettuare un pagamento importante a un privato senza farsi rilasciare almeno una ricevuta scritta e firmata.
Quali dati servono prima di scrivere la ricevuta
Per compilare una ricevuta sensata è necessario avere a disposizione una serie di dati sia dell’azienda acquirente sia del privato venditore. Per l’azienda servono la denominazione completa, la sede legale, il codice fiscale e la partita IVA. Per il privato servono almeno nome, cognome, luogo e data di nascita, residenza e codice fiscale.
È utile conoscere esattamente che cosa si sta acquistando: descrizione del bene, marca, modello, eventuale numero di serie, stato d’uso, quantità, data in cui avviene il passaggio di proprietà. Per importi rilevanti, o per beni registrati come autoveicoli, può essere opportuno indicare anche estremi documentali, come targa, numero di telaio, numero di libretto, in modo che il bene sia chiaramente identificato.
Infine, occorre avere chiaro l’importo concordato e la modalità di pagamento: contanti, bonifico, assegno, altro. Per importi significativi, di regola, è consigliabile usare metodi tracciabili, sia per i limiti ai contanti sia per poter dimostrare in futuro la corrispondenza tra ricevuta e movimento di denaro.
Struttura della ricevuta: intestazione e dati delle parti
La ricevuta è un documento relativamente semplice, ma va costruito con ordine. In alto si indica il luogo e la data in cui viene rilasciata. Subito dopo è bene riportare chiaramente che si tratta di una ricevuta per vendita tra privato e azienda, o comunque di una quietanza.
Segue l’identificazione del venditore, cioè del privato: nome e cognome, codice fiscale, indirizzo di residenza, eventualmente gli estremi del documento di identità se si vuole dare maggiore forza probatoria al documento. Subito dopo si indicano i dati dell’acquirente, cioè dell’azienda, con la denominazione sociale, la sede, il codice fiscale e la partita IVA.
Questa parte iniziale serve a togliere ogni dubbio su chi siano le parti del rapporto. È consigliabile usare formule chiare, ad esempio “Io sottoscritto … nato a … il … residente in … codice fiscale … dichiaro di avere ricevuto dalla società … con sede in … codice fiscale e partita IVA … la somma di … euro a titolo di corrispettivo per la vendita del bene sotto descritto”.
Scrivere in modo completo i dati delle parti evita contestazioni future sulla reale identità dei soggetti coinvolti e rende la ricevuta utilizzabile anche a distanza di anni.
Descrizione dettagliata del bene venduto
Il cuore della ricevuta è la descrizione di ciò che viene venduto. Limitarsi a scrivere “per merce” o “per bene usato” è possibile ma poco utile. È molto meglio inserire tutte le informazioni che identificano chiaramente l’oggetto dell’operazione.
Per esempio, se si tratta di un computer, conviene indicare marca, modello, numero di serie, eventuali accessori inclusi. Se si tratta di un macchinario, si possono riportare il tipo, la potenza, l’anno di acquisto originario, il numero di matricola. Se è un arredo, come una scrivania o un armadio, si possono indicare dimensioni, materiale, colore, eventuali segni particolari.
La descrizione dovrebbe anche indicare che il bene viene ceduto nello stato di fatto in cui si trova, ad esempio “usato, visto e piaciuto”, espressione classica che significa che l’azienda acquirente ha visionato il bene e lo accetta con le eventuali imperfezioni. Questo è particolarmente importante nelle vendite tra privati, dove non si applicano garanzie come nel commercio al dettaglio.
Una buona descrizione tutela entrambe le parti: il privato potrà dimostrare che ciò che ha venduto è esattamente quanto indicato, l’azienda potrà dimostrare che la somma pagata è riferita a quel bene e non a qualcos’altro.
Importo, modalità di pagamento e attestazione della quietanza
Dopo la descrizione del bene si indica l’importo pattuito, in cifra e in lettere, specificando chiaramente che si tratta di un importo totale. Scrivere sia il numero sia la versione in lettere serve a ridurre il rischio di equivoci o manipolazioni. Ad esempio “per l’importo complessivo di euro 500,00 (cinquecento/00)”.
È utile indicare anche come è stato effettuato il pagamento. Se è stato usato un bonifico bancario, si può citare la data e, se già disponibile, la descrizione, oppure si può scrivere che l’importo è stato ricevuto tramite bonifico sul conto indicato separatamente. Se si tratta di assegno, si può riportare il numero dell’assegno e la banca. Se si paga in contanti, si può aggiungere “ricevuti in contanti”, tenendo sempre presenti eventuali limiti di legge all’uso del contante.
La quietanza vera e propria è la frase in cui il privato dichiara di non avere più nulla a pretendere a fronte della vendita. Frasi del tipo “Con la presente ricevuta dichiaro di avere ricevuto interamente il corrispettivo concordato e di non avere null’altro a pretendere per la vendita del suddetto bene” danno chiarezza all’accordo e aiutano a chiudere formalmente l’operazione.
Aspetti fiscali particolari: marca da bollo e dichiarazioni del privato
Per le ricevute superiori a una certa soglia, la normativa prevede l’applicazione di un’imposta di bollo tramite marca, da verificare di volta in volta in base alle disposizioni vigenti. In genere, se il documento è una semplice quietanza rilasciata da privato a privato oppure da privato a impresa e supera un certo importo, è necessario apporre una marca da bollo del valore previsto per renderlo fiscalmente regolare. La marca viene applicata sulla copia originale della ricevuta e annullata apponendo la data e la firma che sconfina in parte su di essa.
Nella ricevuta il privato può, se lo ritiene opportuno o se consigliato, aggiungere una breve dichiarazione che qualifica l’operazione come vendita occasionale di bene personale, specificando che non si tratta di attività abituale. Questo non sostituisce un parere fiscale, ma può essere utile a chiarire la natura dell’incasso.
L’azienda, dal canto suo, deve ricordare che non potrà detrarre alcuna IVA su questa operazione, perché il venditore non è soggetto IVA. Il costo verrà registrato al lordo, secondo le regole contabili applicabili e in coerenza con il piano dei conti e le norme fiscali generali. È sempre consigliabile confrontarsi con il proprio consulente per valutare il corretto trattamento contabile e fiscale, soprattutto se si tratta di importi rilevanti.
Firma, copie e conservazione della ricevuta
Un elemento spesso sottovalutato è la firma. La ricevuta deve essere sottoscritta dal privato venditore in originale. La firma è ciò che attribuisce realmente il documento alla persona che dichiara di avere ricevuto il denaro. Senza firma, la ricevuta perde gran parte del suo valore probatorio.
Di norma si preparano almeno due copie: una che resta all’azienda e una che rimane al privato. In molti casi si redige un unico originale firmato e si fotocopia per la seconda parte, ma quando possibile è preferibile avere due originali entrambi firmati in calce. L’azienda conserverà la propria copia tra i documenti contabili, pronta per essere esibita in caso di controlli o per giustificare l’iscrizione a registro.
Anche il privato farebbe bene a conservare la sua copia per alcuni anni, in modo da poter dimostrare, se necessario, che l’importo incassato deriva da una vendita e non, ad esempio, da un’attività in nero o da altre situazioni che potrebbero creare dubbio.
Errori da evitare e buone prassi operative
Quando si compila una ricevuta per un acquisto aziendale da privato, i principali errori da evitare sono la vaghezza e l’incompletezza. Non indicare chiaramente chi vende e chi compra, non descrivere il bene, non precisare l’importo o non far firmare il documento è come non averlo. La ricevuta deve permettere, a distanza di anni, a chi la legge di ricostruire la vicenda senza dover fare supposizioni.
È importante anche non travisare la natura dell’operazione. Se il venditore è in realtà un soggetto che svolge abitualmente attività commerciale senza avere aperto partita IVA, la ricevuta da privato non risolve il problema, anzi può esserne una traccia in caso di contestazioni. In questi casi delicati è opportuno che l’azienda si faccia assistere nel valutare se procedere o meno all’acquisto e in che forma.
Una buona prassi è infine quella di utilizzare un modello standard di ricevuta, predisposto in modo chiaro e già strutturato con tutti i campi necessari. Questo riduce gli errori, velocizza la compilazione e garantisce uniformità tra le varie operazioni. Un modello può essere adattato di volta in volta al caso concreto, ma avere una base di partenza aiuta a non dimenticare elementi importanti.
Con un po’ di attenzione, la compilazione di una ricevuta per acquisto aziendale da privato diventa un’operazione semplice ma fondamentale per tenere in ordine i rapporti con i fornitori occasionali e per evitare problemi documentali in futuro.