Un raddrizzatore di corrente elettrica è un circuito che trasforma la corrente alternata, quella che arriva normalmente dalle prese di casa, in corrente continua, cioè in una corrente che scorre sempre nello stesso verso. È un componente fondamentale di quasi tutti gli alimentatori: dai caricabatterie dei telefoni, agli alimentatori dei computer, agli apparecchi elettronici domestici, fino ai grandi impianti industriali.
Per capire perché serve un raddrizzatore, basta pensare a molti dispositivi elettronici moderni, che internamente lavorano in bassa tensione continua, per esempio 5, 12 o 24 volt. La rete elettrica, invece, fornisce 230 volt alternati a 50 Hz (in Europa). Non si può collegare direttamente un circuito elettronico a questa tensione, servono vari stadi: trasformazione della tensione, raddrizzamento, filtraggio e regolazione. Il raddrizzatore è la sezione che si occupa di far sì che la tensione, che varia sinusoidalmente passando da positiva a negativa, diventi unidirezionale, sempre positiva rispetto a un riferimento. Il principio di base è usare componenti che lasciano passare la corrente in un solo verso e la bloccano nell’altro. In pratica si sfrutta il comportamento dei diodi, dispositivi semiconduttori che hanno proprio questa caratteristica “a valvola”. Il modo in cui questi diodi sono collegati tra loro determina il tipo di raddrizzamento e la qualità della corrente continua ottenuta.
Indice
- 1 Il ruolo del diodo: la “valvola” della corrente
- 2 Raddrizzatore a semionda: il caso più semplice
- 3 Raddrizzatore a doppia semionda con trasformatore a presa centrale
- 4 Ponte raddrizzatore a onda intera: il “classico” a quattro diodi
- 5 Il problema del ripple e la necessità del filtraggio
- 6 Filtraggio con condensatore e funzionamento
- 7 Stadi successivi: regolazione e protezioni
- 8 Raddrizzatori controllati e applicazioni speciali
- 9 Efficienza, perdite e scelta dei componenti
- 10 Conclusioni
Il ruolo del diodo: la “valvola” della corrente
Il componente chiave di un raddrizzatore è il diodo rettificatore. Un diodo è un elemento elettrico che, idealmente, conduce corrente solo in un verso, chiamato diretta, e la blocca nell’altro, chiamato inversa. Ovviamente nella realtà il comportamento non è perfetto, ma è abbastanza buono da permettere il raddrizzamento della tensione alternata.
Quando si collega un diodo a una sorgente di tensione alternata, durante la semionda in cui la polarità è favorevole il diodo va in conduzione e lascia passare corrente. Durante la semionda opposta, la polarità si inverte, il diodo si polarizza inversamente e blocca il passaggio di corrente. In questo modo, da una tensione che oscillava tra un valore positivo e uno negativo, si ottiene un andamento che è positivo per metà del tempo e praticamente nullo per l’altra metà.
I diodi usati nei raddrizzatori devono sopportare sia la tensione massima cui vengono sottoposti, sia la corrente che deve circolare nel circuito. Esistono diodi piccoli, per alimentatori elettronici da pochi milliampere, e diodi di potenza, anche montati su dissipatori, per correnti elevate. Indipendentemente dalla dimensione, il loro compito è sempre quello: orientare la corrente in un solo verso.
Raddrizzatore a semionda: il caso più semplice
Il raddrizzatore a semionda è la forma più semplice di raddrizzatore ed è utile per capire il concetto di base. Si prende una tensione alternata, per esempio quella di un secondario di trasformatore, e la si collega a un carico attraverso un singolo diodo.
Durante la semionda positiva, la tensione al secondario è tale che il diodo si polarizza direttamente e conduce. Il carico riceve quindi una tensione che segue la forma sinusoidale positiva, con un valore che cresce fino al massimo e poi decresce fino a zero. Durante la semionda negativa, il diodo è polarizzato inversamente e non conduce, quindi sul carico la tensione scende praticamente a zero.
Il risultato è un’onda “tagliata a metà”, cioè un andamento pulsante, con periodi in cui passa corrente alternati a periodi di silenzio. La frequenza del segnale pulsante è la stessa della rete, per esempio 50 Hz, e il valore medio è superiore a zero, quindi si può già parlare di corrente continua in senso lato, ma di qualità piuttosto scarsa per molti usi elettronici.
Il raddrizzatore a semionda ha il vantaggio di essere economico e semplice, ma sfrutta solo metà dell’energia disponibile nella tensione alternata. Per migliorare efficienza e regolarità, si passa a raddrizzatori più evoluti.
Raddrizzatore a doppia semionda con trasformatore a presa centrale
Un passo avanti rispetto alla semionda è il raddrizzatore a doppia semionda. L’idea è quella di utilizzare entrambe le semionde dell’alternata, in modo che il carico riceva sempre tensione pulsante, senza periodi di zero come nel caso precedente. Uno dei modi classici per ottenerlo usa un trasformatore con secondario a presa centrale e due diodi.
Il secondario a presa centrale è un avvolgimento con un terminale intermedio che fa da riferimento comune. Gli altri due terminali estremi portano, rispetto alla presa centrale, una tensione alternata sinusoidale, ma sfasata di 180 gradi tra di loro. Collegando ognuno dei due terminali estremi a un diodo, e unendo le uscite dei diodi in un punto comune che va al carico, si ottiene che, durante una semionda, conduce il primo diodo, durante la semionda successiva conduce il secondo.
Dal punto di vista del carico, la tensione vede sempre semionde positive, perché nella prima metà del periodo la corrente arriva da un lato del secondario, nella seconda metà dall’altro. Non ci sono intervalli di zero, e la frequenza delle pulsazioni raddoppia rispetto a quella della rete, diventando 100 Hz se la rete è a 50 Hz. Questo rende il filtraggio successivo più facile, perché una frequenza di ripple più alta è più semplice da attenuare con condensatori e induttori.
Ponte raddrizzatore a onda intera: il “classico” a quattro diodi
Un’altra configurazione molto usata, soprattutto dove non si ha un trasformatore a presa centrale o si vuole semplificare la costruzione, è il ponte raddrizzatore a onda intera, chiamato spesso ponte di Graetz. Qui l’elemento chiave è un circuito formato da quattro diodi collegati a forma di ponte, con due terminali dedicati alla tensione alternata in ingresso e due terminali per la tensione continua in uscita.
Durante una semionda positiva, la corrente attraversa due dei quattro diodi in una certa coppia, portando il terminale positivo dell’uscita a un potenziale più alto rispetto al negativo. Durante la semionda negativa, la corrente si invertirebbe, ma la configurazione dei diodi fa sì che, ancora, la corrente verso il carico scorra nello stesso verso di prima, passando tramite l’altra coppia di diodi.
Dal punto di vista dell’uscita continua, si ottiene quindi una tensione pulsante che sfrutta entrambe le semionde, con la stessa forma d’onda del raddrizzatore a doppia semionda tramite trasformatore a presa centrale, ma senza necessità di quest’ultimo. Il ponte raddrizzatore è disponibile come componente unico, con quattro terminali già predisposti, ed è molto utilizzato in alimentatori di ogni potenza, perché compatto, economico e facile da montare.
Il problema del ripple e la necessità del filtraggio
Che si usi un raddrizzatore a semionda o a onda intera, il risultato dell’azione dei diodi è una “continua pulsante”: la tensione non cambia di segno, ma varia nel tempo con creste e valli. Questa componente variabile si chiama ripple. In molte applicazioni, soprattutto elettroniche, il ripple è indesiderato perché introduce disturbi, ronzii e instabilità.
Per esempio, se si alimenta un amplificatore audio con una tensione raddrizzata ma non filtrata, il ripple a 100 Hz si tradurrà in un rumore di fondo udibile. Analogamente, circuiti logici e microcontrollori richiedono una tensione quasi perfettamente costante per funzionare correttamente.
Per ridurre il ripple e ottenere una tensione più stabile si aggiunge un circuito di filtraggio subito dopo il raddrizzatore. Gli elementi più comuni sono condensatori elettrolitici di capacità relativamente grande, collegati in parallelo al carico, e, nei casi più sofisticati, induttori e reti RC o LC. Il compito del filtro è “riempire” le valli tra una semionda e l’altra, immagazzinando energia quando la tensione è alta e rilasciandola quando la tensione tenderebbe a scendere.
Filtraggio con condensatore e funzionamento
Il filtraggio più semplice è quello con un singolo condensatore posto in parallelo al carico. Il condensatore, inizialmente scarico, si carica quando la tensione raddrizzata raggiunge il suo picco. Durante il tempo in cui la tensione in ingresso scende verso lo zero (nel raddrizzatore a semionda) o verso il minimo tra due picchi (nel raddrizzatore a onda intera), il condensatore tende a scaricarsi lentamente attraverso il carico, mantenendo la tensione più alta di quanto farebbe la sola onda rettificata.
Il risultato è un’onda meno pulsante: anziché partire da zero a ogni semionda, la tensione sul carico oscilla attorno a un valore più elevato, con una variazione più piccola, tanto più piccola quanto maggiore è la capacità del condensatore e quanto più piccolo è il carico (cioè quanto meno corrente viene assorbita).
Tuttavia, usare condensatori troppo grandi non è privo di svantaggi. All’accensione, il condensatore vuoto si comporta come un cortocircuito, e il raddrizzatore deve fornire un picco di corrente elevato per caricarlo. Questo può stressare i diodi e il trasformatore. Nella progettazione degli alimentatori si cerca un compromesso tra livello di ripple, dimensione del condensatore, corrente di picco accettabile e costo dei componenti.
Stadi successivi: regolazione e protezioni
Dopo il raddrizzatore e il filtro a condensatore, molti alimentatori includono uno stadio di regolazione della tensione. I regolatori lineari, ad esempio, prendono in ingresso una tensione continua con ripple e ne forniscono una stabile e precisa in uscita, dissipando la differenza come calore. I regolatori switching, invece, lavorano in modo più efficiente, trasformando energia con minori perdite.
Indipendentemente dal tipo di regolazione, i diodi del raddrizzatore e il condensatore di filtro sono sempre la base, perché trasformano la corrente alternata in qualcosa di utilizzabile dai regolatori. In parallelo, nei raddrizzatori più seri si trovano protezioni come fusibili, termistori per limitare la corrente di spunto, varistori contro i picchi di tensione. Tutti questi elementi contribuiscono a garantire che il circuito riceva una continua qualitativamente adeguata e che eventuali anomalie della rete non danneggino i componenti.
Raddrizzatori controllati e applicazioni speciali
Finora abbiamo parlato di raddrizzatori “non controllati”, in cui i diodi conducono appena la tensione lo consente. Esistono però anche raddrizzatori controllati, nei quali al posto o insieme ai diodi si usano dispositivi come i tiristori (SCR), che possono essere “innescati” in momenti specifici del ciclo di alternata.
In questo modo è possibile regolare la tensione continua media fornita al carico variando l’angolo di innesco del dispositivo. Questi raddrizzatori controllati sono usati in applicazioni dove è necessario regolare in modo continuo la potenza fornita, come nei grandi sistemi di alimentazione industriale, nei controlli di motori in corrente continua o in alcuni dispositivi di saldatura.
Anche in questi casi, la logica di base non cambia: si tratta sempre di orientare la corrente in un solo verso, ma con il plus di decidere quando iniziare la conduzione in ogni semionda. Il risultato è una tensione continua il cui valore medio può essere modulato in base alle esigenze del processo.
Efficienza, perdite e scelta dei componenti
Ogni raddrizzatore introduce inevitabilmente alcune perdite. Il diodo, quando conduce, ha una caduta di tensione diretta, tipicamente di circa 0,7 volt per i diodi al silicio standard, un po’ meno per i diodi Schottky. In un ponte raddrizzatore a quattro diodi, in ogni semionda ne sono in serie due, quindi la caduta complessiva è doppia. Questo significa che una parte della potenza viene dissipata in calore.
Nei raddrizzatori di potenza, questa dissipazione può essere significativa e richiedere l’uso di diodi a bassa perdita o di dissipatori per evitare il surriscaldamento. Anche la resistenza interna del trasformatore, i picchi di corrente di carica dei condensatori e le perdite nei componenti di filtro contribuiscono a ridurre l’efficienza complessiva.
La scelta dei diodi, della loro corrente nominale, della tensione inversa massima sopportabile e dell’eventuale tecnica di montaggio (diodi discreti, moduli a ponte, diodi su dissipatore) è quindi un elemento importante nella progettazione. Un raddrizzatore ben dimensionato deve sopportare le condizioni di picco, lavorare entro parametri di sicurezza e contribuire a una lunga vita dell’alimentatore.
Conclusioni
Un raddrizzatore di corrente elettrica è, in un certo senso, uno dei “cuori nascosti” di qualsiasi sistema di alimentazione. Senza di lui, la maggior parte dei dispositivi elettronici moderni non potrebbe funzionare, perché rimarrebbero legati alla forma d’onda alternata della rete, inadatta ai loro circuiti interni.
Capire come funziona un raddrizzatore, dalle forme più semplici a semionda fino ai ponti a onda intera, e come si integra con filtri, regolatori e protezioni, aiuta non solo chi studia elettronica o elettrotecnica, ma anche chi vuole comprendere meglio il funzionamento degli apparecchi con cui interagisce ogni giorno.
Dietro a un caricabatterie compatto o a un grande alimentatore industriale c’è sempre un insieme di diodi, condensatori e altri componenti che, partendo da una tensione alternata variabile e potenzialmente disturbata, costruiscono una corrente continua stabile e affidabile. Il raddrizzatore è il primo e indispensabile passo di questa trasformazione.